Ripartita l’Nba è già tempo dei primi bilanci e tra Est e Ovest non sono mancate sorprese, conferme, delusioni e qualche caso, come quello di James Harden con i Clippers.

Lo scenario

Sicuramente una menzione la merita Miami, reduce da sette vittorie di fila, uno stop e una nuov vittoria in 9 delle ultiem partite, nonostante nella costa est degli Stati Uniti la conferma più importante sia quella di Boston. I Celtics hanno vinto anche lo scontro diretto per il vertice contro Philadelphia e lo stesso Embiid, MVP in carica, ha ammesso di considerare Boston come la favorita finale.

In ripresa i Bucks di Antetokounmpo e Lillard con un filotto di 5 vittorie consecutive, mentre decisamente male vanno i Chicago Bulls (5 vittorie – 10 sconfitte) che stanno pensando di smantellare la squadra, in particolare la stella Levine che potrebbe essere scambiata (piace ai Lakers). A Ovest conferma assoluta per i Nuggets campioni in carica anche se con qualche passo falso di troppo nelle ultime gare.

Mentre le sorprese positive sono i Timberwolves (10 vittorie – 3 sconfitte), i Rockets dell’odiato Dillon Brooks (al momento miglior tiratore da 3 per percentuale della lega) e i Thunder di Holmgren (10 vittorie – 4 sconfitte), primo rivale per il “rookie of the year” dell’astro nascente Wembanyama che dopo un grande inizio ha un po’ faticato nelle ultime gare, soprattutto perché gli Spurs (3 vittorie – 11 sconfitte) non affrontano certamente il loro miglior momento.

Clippers e Harden

Non decolla Golden State che nelle gare interne ne ha vinte 2 su 6, ma grossi problemi li hanno anche i Clippers, alle prese anche con il caso Harden. Dal suo arrivo per la maggior parte sconfitte per Los Angeles, che hanno rotto il sortilegio solo di recente contro i Rockets (proprio grazie a una super giocata di Harden) e proseguendo con la seconda vittoria di fila dopo 6 sconfitte consecutive.

Questi Clippers, infatti, hanno tanti difetti da correggere, ma anche tanto tempo per riuscirci. L’attacco per ora funziona a fasi alterne, con troppi isolamenti e poca coralità, difetto che la squadra di Lue ha da tempo ma che si è accentuato e resterà rilevante fino a quando Harden, Russell Westbrook, Paul George e Kawhi Leonard non troveranno il modo di convivere.

Aspettando il Barba

Uno dei motivi principali per cui serve avere pazienza è che Harden non è ancora…Harden. No, non il realizzatore seriale che ha vinto l’mvp nel 2018 e che dal 2015 al 2020 è stato per 5 stagioni su 6 sul podio del premio di miglior giocatore della regular season (prima di sciogliersi inesorabilmente ai playoff), ma quello che nella scorsa stagione con Philadelphia è stato il miglior assistman della Nba a 10,7 passaggi vincenti a partita.

Lo ripeto: non ho fatto né training camp né preseason, quindi sto cercando di crescere di condizione mentre gioco” ha detto il Barba dopo la partita di Denver chiusa con 21 punti, il suo massimo da quando è ai Clippers.

I numeri e il ruolo chiave

Nelle partite con la nuova squadra, le prime quindi della sua stagione Nba, il “Barba” viaggia a 15 punti, 4,4 rimbalzi e 4,2 assist di media in 32,2 minuti a partita. La vittoria contro i Rockets – accompagnata da 24 punti personali – poteva sembrare l’inizio di un’inversione di tendenza, ma nella successiva vittoria contro gli Spurs solamente 13 punti a referto.

LA non lo ha preso per fare il realizzatore, ma per aiutare nella costruzione del gioco, per illuminare con i suoi passaggi e la sua visione (caratteristiche che ha mantenuto se non migliorato anche quando ha smesso di essere un realizzatore seriale) una squadra carente proprio in quell’aspetto del gioco. E gli assist non sono infatti mancati anche in questo scontro contro San Antonio (10 a referto) dove Harden è stato il miglior assistman delle due squadre.